Tutti conosciamo la liquirizia per il suo sapore intenso e un po’ amaro, amata (o odiata!) nelle caramelle. Ma da secoli, in Oriente, la radice di Glycyrrhiza è considerata una pianta medicinale preziosa, utilizzata nella medicina tradizionale cinese e giapponese per i suoi effetti antinfiammatori e protettivi sul fegato. Oggi la scienza moderna torna a interessarsi a questa antica pianta per capire se, oltre al sapore, possa davvero aiutare chi soffre di malattie del fegato.

 

Cosa dice la scienza?

Secondo le conclusioni di una recente revisione della letteratura scientifica, pubblicata su Phytotherapy Research nel 2024, l'assunzione di estratti terapeutici a base di liquirizia si associa ad un miglioramento significativo dei principali enzimi epatici, cioè quelle sostanze che aumentano quando il fegato è infiammato o danneggiato.

  • ALT (alanina aminotransferasi): diminuita di circa 16 unità/L.
  • AST (aspartato aminotransferasi): diminuita di circa 7 unità/L.

Sono numeri che indicano una riduzione dell’infiammazione del fegato e un miglior funzionamento delle cellule epatiche.

Le formulazioni più efficaci? Quelle che contengono acido glicirrizico purificato, il principale principio attivo della liquirizia.

Per altri parametri, come la bilirubina o la gamma-GT, i risultati sono stati meno chiari: alcuni preparati hanno mostrato miglioramenti, altri no.

 

E gli effetti collaterali?

La liquirizia, se usata in quantità eccessive o per lunghi periodi, può causare aumento della pressione, ritenzione di sodio e calo del potassio nel sangue (effetti noti e legati alla sua azione simile a quella di alcuni ormoni mineralcorticoidi).

Nel complesso, però, gli studi analizzati hanno riportato solo effetti lievi e reversibili. Gli autori però sottolineano l’importanza di standardizzare i dosaggi e le formulazioni per garantire sicurezza e efficacia.

 

Cosa possiamo imparare?

Questa ricerca suggerisce che la liquirizia può avere un ruolo protettivo per il fegato, anche in certe forme di malattia epatica cronica. Non è una cura miracolosa, ma un possibile alleato naturale, da studiare e utilizzare con criterio.

I ricercatori invitano a:

  • Definire meglio le dosi ottimali e i tipi di estratti.
  • Studiare la liquirizia all’interno di preparazioni fitoterapiche complesse.
  • Comprendere meglio i suoi meccanismi d’azione.

 

In sintesi, la liquirizia non è solo un dolce ricordo d’infanzia, ma una pianta dalle potenzialità scientificamente interessanti. Usata nel modo giusto e sotto controllo medico, potrebbe offrire un piccolo ma concreto aiuto al fegato. Come sempre, però, autocurarsi non è mai una buona idea: anche le erbe più naturali possono avere effetti indesiderati. Confrontarsi sempre con il proprio medico di fiducia è fondamentale, soprattutto se si soffre di malattie importanti o si stanno assumendo farmaci in maniera cronica.

 

Riferimento bibliografico

Giangrandi, I., Dinu, M., Napoletano, A., Maggini, V., Lombardi, N., Crescioli, G., Gallo, E., Mascherini, V., Antonelli, M., Donelli, D., Vannacci, A., Firenzuoli, F., & Sofi, F. (2024). Licorice and liver function in patients with primary liver disease: A systematic review and meta-analysis of RCTs. Phytotherapy Research, 38(9), 4614–4627. https://doi.org/10.1002/ptr.8288 

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