Introduzione: la riscoperta del silenzio nel mondo moderno

Nel contesto iperstimolato del mondo contemporaneo, il silenzio sta progressivamente scomparendo. Ambienti urbani affollati, traffico incessante, stimoli visivi e sonori provenienti da dispositivi elettronici, pubblicità acustiche e notifiche continue contribuiscono alla costruzione di un paesaggio sensoriale saturo, quasi privo di interruzioni. La costante esposizione a suoni artificiali e segnali digitali non lascia spazi di discontinuità che permettano al sistema nervoso di tornare a uno stato di quiete e di autoregolazione.

Eppure, il silenzio ha accompagnato per secoli le pratiche più profonde dell’essere umano: dalle tradizioni monastiche al misticismo orientale, dalla riflessione filosofica alla psicoterapia moderna, è stato considerato un terreno fertile per la consapevolezza, la trasformazione interiore e la guarigione.

Negli ultimi anni, anche la ricerca scientifica ha iniziato a esplorare sistematicamente gli effetti neurofisiologici del silenzio, individuando correlazioni significative con la riduzione dello stress, il miglioramento delle funzioni cognitive e l’attivazione di processi rigenerativi a livello cerebrale.

 

Il silenzio e il sistema nervoso: la chiave della Teoria Polivagale

Il silenzio agisce sul sistema nervoso autonomo, modulando i nostri stati di calma o allerta. Quando ci sentiamo al sicuro, il silenzio diventa uno spazio rigenerante: il respiro rallenta, la mente si apre, e possiamo connetterci più autenticamente con noi stessi e con gli altri. Ma se siamo in uno stato di difesa o stress, lo stesso silenzio può essere percepito come vuoto o minaccia.

La Teoria Polivagale, elaborata dal Prof. Stephen W. Porges, offre una chiave interpretativa preziosa per comprendere questa ambivalenza. Essa descrive tre principali vie di risposta del sistema nervoso autonomo:

  • La via vagale ventrale, associata a calma, connessione e sicurezza. Quando è attiva, favorisce la regolazione del battito cardiaco, la qualità della respirazione e l’apertura sociale.
  • La via ortosimpatica, collegata alla mobilizzazione del corpo di fronte al pericolo percepito, attivando le classiche risposte di attacco o fuga.
  • La via vagale dorsale, la più antica e primitiva, che porta al congelamento o al ritiro in situazioni di minaccia estrema.

La neurocezione – ossia la percezione inconscia del livello di sicurezza – determina quale via si attivi. Il corpo "sa" prima della mente se un contesto è sicuro o pericoloso. Se il silenzio viene interpretato come uno spazio protetto, attiva la via ventrale e promuove rilassamento, fiducia e co-regolazione. Se invece viene vissuto come incerto, può innescare risposte difensive e disagio.

 

Silenzio esterno e silenzio interiore

È importante distinguere tra silenzio esterno e silenzio interiore, due dimensioni che si influenzano reciprocamente.

Il silenzio esterno riguarda l’assenza (o la rarefazione) di suoni ambientali. Non sempre, però, il silenzio assoluto è percepito come rilassante: in natura, l’assenza totale di suoni può evocare pericolo, e quindi attivare uno stato di vigilanza. Tuttavia, attraverso pratiche di consapevolezza e rilassamento, possiamo addestrare il cervello a tollerare e infine ad accogliere questa quiete, trasformandola in un portale verso la calma interiore.

Il silenzio interiore, invece, non dipende dall’ambiente, ma dal nostro stato mentale. È l’esperienza di una mente quieta, libera da rumore mentale, pensieri ricorrenti e preoccupazioni. Questo tipo di silenzio è associato a un miglior equilibrio del sistema nervoso autonomo, a una riduzione dei livelli di cortisolo e a un aumento della variabilità della frequenza cardiaca (HRV), un indicatore di resilienza e adattabilità fisiologica.

Quando sperimentiamo il silenzio interiore, la mente diventa più chiara, il corpo più rilassato, e le relazioni più autentiche. Si apre uno spazio di ascolto profondo, dove non si cerca di riempire, ma semplicemente di "stare".

 

Fattori che influenzano la risposta al silenzio

Non tutte le persone vivono il silenzio allo stesso modo. La reazione individuale dipende da diversi fattori:

  • Il contesto ambientale: un luogo familiare e sicuro facilita il rilassamento, mentre un ambiente sconosciuto o buio può innescare allerta.
  • L’abitudine al rumore: chi vive costantemente in ambienti rumorosi può percepire il silenzio come innaturale o addirittura minaccioso.
  • La qualità delle relazioni: il "rumore emotivo" delle persone attorno a noi incide sul nostro stato interno. La calma di chi ci circonda può favorire il nostro silenzio interiore, mentre la tensione altrui può contagiarci fisiologicamente.
  • La pratica personale: la familiarità con tecniche di mindfulness, meditazione o regolazione emotiva aiuta a trasformare il silenzio da spazio ansiogeno a spazio rigenerativo.

 

Pratiche quotidiane per coltivare il silenzio

Allenarsi al silenzio può diventare una vera pratica di benessere neurofisiologico. Non servono ritiri spirituali o ore di meditazione: bastano piccoli gesti quotidiani per restituire al sistema nervoso pause di rigenerazione.

  • Pause consapevoli: fermarsi anche solo per un minuto, respirare e ascoltare il silenzio dentro e fuori di sé.
  • Commuting silenzioso: viaggiare o camminare senza cuffie, lasciando che la mente si assesti naturalmente.
  • Digital detox: ridurre notifiche, schermi e stimoli artificiali per permettere al cervello di recuperare.
  • Contatto con la natura: immergersi nel "silenzio vivo" dei luoghi naturali come boschi o paesaggi costieri, dove la quiete è accompagnata da suoni armonici e ritmi lenti.
  • Pratiche somatiche e contemplative: meditazione, yoga, qi gong o tai chi, che rafforzano la connessione tra respiro, corpo e presenza.

 

Conclusione: il silenzio come luogo di equilibrio

Il silenzio, vissuto con consapevolezza e sicurezza, non è un vuoto da riempire, ma un luogo da abitare. È una soglia che ci permette di ritrovare equilibrio, energia e connessione con noi stessi e con il mondo. 

La Teoria Polivagale ci insegna che il silenzio può essere tanto uno spazio di calma quanto un attivatore di difesa, a seconda di come lo percepiamo. Coltivare un rapporto sano con il silenzio significa educare il corpo e la mente alla fiducia, alla lentezza e alla presenza. In un’epoca in cui il rumore domina ogni spazio, scegliere il silenzio è un atto di cura, un ritorno alla possibilità di ascoltare, regolare e sentire.

 

Per un approfondimento su questo tema, leggi l’articolo completo pubblicato su "Neuroscienze ANEMOS".

 

Riferimento bibliografico

Donelli, D., Lazzeroni, D., Rizzato, M., & Antonelli, M. (2023). Silence and its effects on the autonomic nervous system: A systematic review. In Progress in Brain Research (Vol. 280, pp. 103–144). Elsevier. https://doi.org/10.1016/bs.pbr.2023.08.001 

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